martedì 28 aprile 2020

Luca Rando - Il dono

Cos’è stata la rosa? Se riguardo il n. 0, fatto da fogli A4 fotocopiati, il ricordo che ho è quello di due ragazzi cresciuti insieme in una città che era provincia che volevano portare fuori dal cerchio chiuso degli addetti ai lavori, con incontri, letture, e questa rivista, la poesia. La poesia era, come il teatro, la musica, la pittura, necessaria al nostro essere uomini. La sua assenza era sentita come un affronto, una vita mancante dell’essenziale.
Nicola aveva studiato a Roma, approfondendo la poesia del Novecento, aprendosi, con Biancamaria Frabotta, all’amore per una poesia vissuta e non appresa solo dai libri. Io avevo studiato a Napoli, frequentando maggiormente il teatro come espressione immediata e vera di un mondo interiore che ribolliva. Ci univa, oltre all'amicizia, l’idea di una cultura “inutile” ma vitale, che doveva ritrovare il contatto col mondo, farsi voce, pietra, politica, materia viva da abitare e respirare.
Cosa resta di tutto questo dopo più di 20 anni? Ventiquattro numeri di parole, interventi, poesie, discussioni, in cui l’intelligenza “duale”, come Nicola definì la nostra rivista in un incontro pubblico, metteva a frutto la propria voglia di esserci, di svegliare una città dormiente (e nel far questo appoggiavamo spesso con letture poetiche ed interventi i ragazzi dei centri sociali che occupavano spazi per dar voce al proprio malessere e alla desiderio di intervento), di far ascoltare dal vivo la voce di poeti e di filosofi.
Se ripercorro i nomi degli ospiti della nostra rivista o di quelli invitati in incontri pubblici trovo Gianni D’Elia, Tommaso Di Francesco, Marco Guzzi, Biancamaria Frabotta, Erri De Luca e tante altre voci di una parola vitale. Alcuni di questi sono diventati amici, padri nobili, maestri.
Per me l’incontro più importante però, lo confesso, non è stato quello con questi autori e i loro libri (per quanto alcuni mi abbiano profondamente segnato), quanto quello con Nicola, a cui mi lega da più di 40 anni un affetto che supera lo spazio (e il tempo) che ci separa.
Cos’è stata allora la rosa? Una splendida esperienza, la possibilità di vivere la poesia nella pelle dell’irrequietezza dei miei vent’anni, seguirne il sentiero, leggere, con occhi nuovi, testi studiati, incontrare e ascoltare le parole di chi di quella poesia viveva e vive. Ed oggi? Oggi la rosa è la resistenza della memoria di un tentativo che si è poi fatto vita nelle azioni quotidiane di due professori del Sud che al Sud continuano a lavorare, intessendo relazioni, pensieri, azioni che in qualche modo proseguono la linfa feconda di quegli anni, di quella passione reale per la parola «naturale, abitata e usata», necessaria, come la rosa.

giovedì 8 agosto 2019

Copertina n.24



E che cosa è una rosa, ora si sa;
ora, passata l’età delle rose.
Sullo spino ne brilla ultima una
E tutta sola tutti i fiori ha in sé.

J. Wolfgang Goethe


Il numero 24 della rivista, l'ultimo, (giugno 1999) presentava in copertina un testo di Johann Wolfgang Goethe e i Disegni per la deposizione Borghese di Raffaello Sanzio.


Questo è il sommario:



editoriale


Balkan Express

Civiltà del declino di Gianluca Paciucci

Mito e persecuzione: una nota sulla guerra di Rita Bagnoli


poeti italiani contemporanei

Alibi e Frontiera: La morte e il sentimento del tempo ne La capanna indiana (seconda parte)  di Adriano Napoli


invito alla lettura

La giovinezza e i diari di Emile Cioran: l'anima nera di un pensatore atroce
di Sandro Montalto


vortere

Folhas caídas di Almeida Garrett  a c. di Lucio Sessa


fuori dall'Occidente

Mang Ke e l'arte di sopravvivere di Iole Simone

Glosse varie (seconda parte)  di Luca Zolli


l'inedito 

Antonio Spagnuolo 

Ciro Vitiello


l’intervista

«Una poesia contaminata»: intervista a Silvio Ramat  di Tiziana Antonilli


in forma di prosa

Sunto di Sebastiano Aglieco


la vita della mente

 Dal mondo monolitico al mondo co-costruito e prospettive (prima parte) 
di Raffaele Basilone


la fonte e il cuore

La purificazione del cuore (2a tappa)  di padre Alberto Camici


recensioni

Editoriale n.24




Guerra! 12 maggio 1999

Cari amici,
si continua a discutere di guerra giusta e guerra ingiusta... Continua il martellamento dei giornali sulla necessità di aiutare i profughi kosovari, sul bisogno di bloccare la pulizia etnica dei serbi, sul ruolo preventivo/punitivo dei missili, sugli americani che hanno sempre fatto la cosa giusta (due guerre mondiali vinte vorranno pur dire qualcosa), sul mostro Milosevic e così via.
 Mi chiedo stupito perché mai non ci siano stati interventi "umanitari" in Ruanda, Cecenia o Turchia (ma le alleanze politiche tra gli Stati contano senza dubbio).
I mostri sono sempre gli altri, quelli che prima vengono armati per i nostri interessi (Saddam Hussein è un esempio ancora molto vicino nel tempo e nella memoria) e 'poi, quando disattendono le attese, quando mettono in gioco l'economia internazionale dei "grandi" del pianeta, vengono descritti come pericolosi criminali, nuovi Hitler. Ma fino a quel momento? Possibile che Milosevic sia diventato improvvisamente un folle? Il pericoloso nazionalismo di cui ora è portavoce non c'era già durante la guerra bosniaca e ancora prima negli scontri con sloveni e croati? E sono forse migliori Izetbegovic o Tudjman?
Perché, poi, fare una classifica dei profughi? Perché ci si deve dimenticare dei profughi serbi, della pulizia etnica croata? Perché associare il popolo serbo al dittatore? Quali interessi superiori ci sono per ammettere anche solo la morte di un innocente?
Purtroppo abbiamo tutti la memoria corta, purtroppo la pigrizia si impadronisce facilmente di noi anche quando la guerra ci sfiora da vicino. I pacifisti sono "stupidi" o idealisti o dalla vista corta rispetto ai lungimiranti generali NATO o ancora solo vittime della bieca propaganda filoserba...
Ma qui, nell'Ovest civilizzato, la propaganda è solo quella dei militari, quella che ci parla di un intervento umanitario, dei serbi stupratori, di missili intelligenti. E quando serpeggia qualche dubbio, se un "errore" nei bombardamenti alimenta qualche dubbio, ecco una fossa comune da far vedere, una donna stuprata da intervistare per ribadire la giustizia di quei morti per caso.
 Cosa ha portato questa guerra? L'aiuto che si doveva dare ai kosovari è fallito (i profughi sono aumentati proporzionalmente agli attacchi), Milosevic è più popolare ora di due mesi fa,1'opposizione democratica in Serbia è ridotta al silenzio, anche le vittime (serbe e kosovare) sono aumentate. E allora? Che fare?
La guerra ha solo portato alla luce l'incapacità dei governi europei a gestire con le armi della politica le crisi che scoppiano nella porta accanto; ha mostrato il ruolo di "giustizieri del mondo" degli Stati Uniti; l'importanza dell'economia e del partito delle armi, dell'industria militare e dei guerrafondai nelle decisioni dei governi; la sudditanza dell'Europa nei confronti degli U.S.A., dell'O.N.U. alla NATO. E soprattutto il ruolo di una informazione manovrata, gestita per i propri fini da militari senza scrupoli (Clark) e da politicanti che hanno smarrito la ragione. Già la ragione... Dov'è più in queste grida, in questi ordini, in questa violenza? E ancora la guerra, questa come le altre che si ripetono senza insegnare nulla, ha dimostrato l'inutilità della Parola (quella di intellettuali e poeti come quella del Papa) di fronte alla armi. Pasolini parlava delle armi della poesia, ma qui queste armi sono zittite, e chi grida la sua parola contro la guerra (con poesie d'amore, con poesie di pace o sofferenza) rimane inascoltato.
Il fragore delle armi annienta qualunque parola e rimangono solo i gesti di solidarietà, muti, indifesi, di chi, sotto il cielo di Belgrado, testimonia con la sua presenza la follia della guerra.

Post scriptum al 22/05/1999
Nulla è cambiato. Solo qualche piccolo tentativo senza speranza. Io, intanto, penso a questa tragedia e alla troppo frequente pigrizia che ci prende e che chiamiamo quieto vivere. Dovremmo, invece, sporcarci le mani, lottare per ciò in cui crediamo.

Con affetto a voi tutti


LUCA RANDO

Copertina n.23




Che sarebbe la vita senza le rose!
Un sentiero senza ritmo né sangue,
un abisso senza notte né giorno.
Esse presentano le loro ali all’anima,
perché morirebbe l’anima senza ali,
senza stelle, senza fede, senza le chiare
illusioni che l’anima pretende.

Federico Garcia Lorca



Il numero 23 della rivista (marzo 1999) presentava in copertina un testo di Federico Garcia Lorca accompagnato dal Disegno per la disputa del Sacramento di Raffaello Sanzio.


Questo è il sommario:


editoriale


il saggio

Tempo, memoria e identità nell'ultimo Montale  di Luca Malgioglio


poeti italiani contemporanei

Alibi e Frontiera: La morte e il sentimento del tempo ne La capanna indiana (prima parte) di Adriano Napoli

La poesia di Ciro Vitiello  di Marco Amendolara


poeti del Novecento 

La critica di Gottfried Benn alla scienza di Rita Bagnoli


intervista

La necessità della scrittura: a colloquio con Wanda Marasco  di Carlangelo Mauro


intersezioni

Fuori dal coro: senza retorica per i Diritti dell'uomo  di Tiziana Antonilli


invito alla lettura

Elizabeth Barrett Browning: l'arte del sonetto di Tiziana Masucci


vortere

Felisberto Hernàndez Una mattina di vento di Lucio Sessa


erramenti

Rovine di Luca Rando


la fonte e il cuore

La vigilanza del cuore  di padre Alberto Camici


visioni 

L'Esprit Nouveau: Ozenfant e jeanneret di Maurizio Vetrone


recensioni


Editoriale n.23




«La scuola NON è necessaria»

È questa l'idea che ha dominato per decenni la politica scolastica del nostro Paese e che sembrava destinata a tramontare con l'avvento dell'era Berlinguer.
Ci siamo dovuti ricredere.
L'attuale ministro, tuttavia, è riuscito a fare qualcosa in cui i suoi predecessori avevano fallito: ha trasmesso all'opinione pubblica dei non addetti ai lavori l'immagine di un movimento fertile di riforme in grado di svecchiare e migliorare il nostro sistema scolastico e di portarlo finalmente in Europa. Una ben riuscita operazione di look e di propaganda, spesso anche demagogica come quando, per fare un solo esempio, garantisce l'ammissione "politica" ai nuovi esami di maturità.
La scuola non è necessaria se le parole d'ordine continuano a essere risparmiare e tagliare: i tagli, riciclati, vengono poi abilmente sbandierati come finanziamenti. Riforme a costo zero, in aggiunta piovute dall'alto. Va detto a questo proposito che nessuna riforma sarà seria se non avrà tra i suoi scopi la valorizzazione economica e di status degli insegnanti.
La scuola non è necessaria se c'è il pericolo, reale, che la cosiddetta legge sulla parità finisca con il favorire i diplomifici.
Ma quello che soprattutto ci preme dire in questa sede è che la scuola non è necessaria perché in essa c'è una grande assente: la cultura. Ne hanno paura i presidi che si rifugiano sempre più spesso nell'ottusa e vuota burocrazia, con il risultato di soffocare la didattica. Ne hanno paura gli studenti per i quali non ha valore perché non rende ricchi, non conferisce visibilità nella società mediatica e, soprattutto, costa fatica. Non la cercano i genitori per i quali la scuola, quando non è parcheggio o baby-Bitter, interessa solo come mezzo per acquisire un diploma spendibile sul mercato del lavoro.
E così la cultura continua a restare terreno di impegno solo per gli insegnanti, un esiguo numero di studenti e per quei pochi genitori che preferiscono comprare ai propri figli un libro piuttosto che lo zainetto (e il motorino e le scarpe da basket e la tuta da jogging e gli scii ecc. ecc.) dell'ultimo spot pubblicitario.
La scuola continua a essere terreno di lotta dei partiti, a subire ingerenze confindustriali e confessionali e a essere un capitolo di spesa. Come sempre.

TIZIANA ANTONILLI

Copertina n.22



Che male t’abbiamo fatto,
che pena vuoi che scontiamo
per appartenerti come cellule a un cancro,
come inerti petali di rosa a una rosa piena

di spine? Sanguinosamente oscena
mia patria procuri indizi, reperti
di archeologia criminale agli esperti
d’altri millenni, prepari la scena

di un processo incelebrabile se
del sangue di tante stragi non c’è
anima che sia monda e più invisibile

degli occhi della giustizia, più orribile
di quelli della gorgone, per quanti
la sognano è la faccia dei mandanti.

Giovanni Raboni



Il numero 22 della rivista (dicembre 1998) presentava in copertina una poesia di Giovanni Raboni e la Testa di San Giovanni di Raffaello Sanzio.



Questo è il sommario:



editoriale 


poeti italiani contemporanei

Retorica e atteggiamento mentale nella poesia di Giovanni Raboni dalla metrica libera al sonetto di Adriano Napoli

La poesia di Renzo Paris:  dallo sperimentalismo al neoantico 
di Marco Amendolara


proposta agli editori

Rosa Elvira Tirritto


vortere

Felisberto Hernàndez Mobil "El Canario" a c. di Lucio Sessa


invito alla lettura

Anne Bronte: percezioni liriche di Tiziana Masucci


fine millennio

Dalla parte dell'eresia di Gianluca Paciucci


fuori dall'Occidente

Glosse varie di Luca Zolli

Risvegli di Iole Simone


teatrotetro

L'attiva resistenza del teatro di Luca Rando

Giuseppe Caccavale: Voci/ Voix


detti di luce

Il cuore sacro a c. di Nicola Sguera


In forma di prosa

Raffaele Basilone: L'enigma delle maschere

Giuseppe Di Francesco: Note sparse su luoghi dello spirito

versi per versi

Armando Saveriano, Ciro Di Maria, Giovanni Falsetti, Massimo Rossi, Margherita Sergardi, Nora Catalano


recensioni


schede


gocce

Editoriale n.22



La scuola necessaria

La scuola italiana è diventato un problema su cui i governi possono cadere, le maggioranze sfaldarsi. Finalmente si è capito che sulla formazione e i saperi si gioca il destino (storico ed economico) del nostro paese.
Due i piani del discorso: da una parte quello legislativo legato al nuovo quadro politico, dall'altro quello dei soggetti della scuola (alunni e professori).
In merito all'autonomia ci sembra che i pericoli di una filosofia che guarda solo al mercato siano notevoli e rischino di inficiare gli eventuali benefici (minore incidenza della burocrazia, ecc.).
Riguardo ai finanziamenti alle scuole private, prevalentemente cattoliche, ci opponiamo fermamente, non per intolleranza religiosa ma perché è inammissibile finanziare le scuole private quando molte scuole (soprattutto del sud Italia) cadono a pezzi (e non solo metaforicamente). È necessario, inoltre, difendere la laicità della scuola, unica istituzione capace di formare la coscienza dei futuri cittadini.
Condividiamo, dunque, la protesta (occupazioni, autogestioni, manifestazioni pubbliche) per il forte disagio che si respira nel mondo della scuola. Dissentiamo, d'altra parte, dalla forma in cui si attua questa protesta: troppo spesso le occupazioni di fine novembre sembrano diventate un rito prenatalizio in cui mancano i contenuti (gli ideali?), le discussioni latitano e si preferiscono giochini presi dalla televisione ad assemblee o momenti di studio sulla problematica.
Ciò nonostante, al di là delle singole rivendicazioni, crediamo che sia importantissimo che gli studenti si pongano come soggetto attivo della propria formazione, chiedendo di partecipare a decisioni e non ad esserne semplici esecutori (in nome del mercato, ecc.). Bisogna far capire ai ragazzi che il loro "sogno" deve essere nutrito di sapere e poesia, come la vita di ogni uomo, altrimenti durerà poco.
Per quanto riguarda l'altro "soggetto" scolastico, la classe dei docenti ogni anno sembra completamente impreparata ad affrontare un movimento che parte dagli studenti e che invece dovrebbe vedere in primo piano proprio loro ed i genitori. Infatti quelli che sono colpiti maggiormente dalla riforma sono proprio i professori che invece sembrano lasciarsi scorrere tutto addosso desiderosi solo di finire i programmi ministeriali ed essere lasciati in pace per il resto.
Se i motivi della protesta sono giusti bisognerebbe trovare forme e modi di collaborazione tra docenti e discenti in cui tutti possano confrontarsi e crescere.

la rosa necessaria